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Laurenzio Laurenzi

LAURENZIO LAURENZI

Laurenzi (1878-1946) dedicò ben tre opere esclusive a Villa Barluzzi nelle quali emergono i suoi tratti distintivi: il naturalismo della composizione e l’attenzione alla resa della luce. Raffinatissima la riproduzione dell’intera villa che ci permette di ammirarne ogni più piccolo dettaglio mentre la veduta paesaggistica di Villa Rufolo proprio da Villa Barluzzi realizzata nel Natale del 1933 e il dettaglio della facciata della struttura, offrono una preziosa memoria storica di luoghi e persone del tempo.

Il pittore ed incisore umbro trasferitosi a Roma aveva viaggiato molto tra le capitali europee, le colonie africane ed il Medio Oriente, in particolare quando ebbe l’incarico di realizzare una serie di 80 incisioni all’ acquaforte, riproducenti monumenti dell’ età imperiale di vari paesi del Mediterraneo. Nel suo percorso artistico si occupò inizialmente soprattutto di paesaggi, con vedute e scene caratterizzate da una tendenza verista mentre dagli anni venti in poi si dedicò alla pittura coloniale con soggetti ispirati dai suoi viaggi e ritratti africani. Anche lui come Barluzzi fu membro dell’Accademia dei Virtuosi al Pantheon a Roma.

Laurenzio Laurenzi a Ravello

Alla fine degli anni Venti, il Partito Nazionale Fascista, proseguendo nell’opera di propaganda sportiva, cominciata con l’intento di provvedere all’educazione fisica della gioventù italiana, decise di far costruire gradualmente, in tutti i Comuni d’Italia, un campo sportivo che, pur rispondendo alle moderne esigenze dello sport, fosse stato di facile e poco costosa attuazione pratica.

Nell’opera di censimento avviata per verificare quali fossero le realtà municipali prive degli impianti, l’Ufficio sportivo del Direttorio Nazionale del Partito, con comunicazione del 17 dicembre 1929, constatava che il territorio del Comune di Ravello non aveva ancora provveduto alla realizzazione di un campo sportivo.

Così, il 4 ottobre 1930, presso la Casa Comunale (allora situata nel complesso conventuale di San Francesco), il Commissario Prefettizio di Ravello, Umberto Nisi, che allo stesso tempo era anche Presidente dell’Azienda Autonoma, a margine di un incontro con il Segretario Politico del Fascio Alfonso Mansi, la Segretaria del fascio femminile Maria Mansi, il centurione della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale Pasquale Armenante, notabili e imprenditori alberghieri, alla presenza del giornalista Tommaso De Vivo, aprì una sottoscrizione che, compreso il contributo del Comune e dell’Azienda Autonoma, aveva raggiunto in breve tempo la somma di quasi 12.000 lire.

Tra i primi offerenti sono menzionati l’artista Laurenzio Laurenzi di Roma, il barone Giuseppe Compagna, che offrì lire 1000, costituente la somma depositata quale fondo di garanzia del fitto della Torre dello Scarpariello, e l’Ing. Giulio Barluzzi, che nel 1926, dopo averla acquisita, aveva restaurato e trasformato in dimora privata l’antica chiesa di Sant’Andrea del Pendolo.

Laurenzi e la famiglia Barluzzi – Anderson

La Domus Jucundiana, ovvero la villa di Giulio Barluzzi (1879-1953), ingegnere e architetto, e della moglie Maria Anderson, fu un importante ritrovo degli esponenti della vita artistica e mondana romana degli anni ’30 e ’40 del Novecento. La villa si trova vicino a Porta San Sebastiano di fronte alle tombe degli Scipioni e aveva preso il nome dal sarcofago di un Jucumdianus che vi era stato scoperto. Nel libro “Liber amicorum” si leggono poesie, brevi commenti e firme di artisti, cardinali e aristocratici romani che frequentavano la villa datati dal 1928 al 1969, tra cui, Marinetti (26 dicembre 1932) e Benedetta Cappa Marinetti, Giulio Aristide Sartorio, Marga Sartorio (Beneaugurando all’Assente carissima, ma Presente anche oggi, 25-5-1930), Alessio e Tamara Issupoff, G.B Crema, Giuseppe Romagnoli, Respighi, Ceccarius, Laurenzo Laurenzi, Aurelio Mistruzzi, Rodolfo Villani, Nicolò d’Antino, Piero Scarpa, il pittore e giornalista Carlo Montani, lo storico e critico d’arte Piero D’Achiardi, il pittore Enrico Arcioni, lo storico Mario Praz. I padroni di casa accoglievano anche accademie di studiosi che si recavano a visitare la villa o scolaresche. Le pagine sono fitte di firme fino al 1953, anno della morte del Barluzzi; solo le ultime 3 recano firme degli anni ’60.

Il pittore delle colonie

Laurenzio Laurenzi (Assisi, 1878 – Roma, 1946), trasferitosi a Roma da Assisi, frequenta l’Accademia di Belle Arti, in cui studia pittura ed incisione. Ma la vera e propria esperienza formativa dell’artista umbro avviene attraverso i numerosi viaggi che compie dagli anni Venti del Novecento, tra le capitali europee, le colonie africane e il Medio Oriente.

Conosciuto soprattutto per essere un pittore “coloniale”, Laurenzio Laurenzi fino al primo dopoguerra e quindi nella sua fase ancora giovanile, si occupa soprattutto di paesaggi dedicati alla terra umbra.

Partecipa a tutte le mostre della Secessione romana dal 1913 al 1916, presentandovi alcune vedute e scene, tutte ancora eseguite in Italia e caratterizzate da una tendenza verista e da una forte attenzione agli effetti tonali e di luce.

È dagli anni Venti in poi che Laurenzio Laurenzi si dedica quasi esclusivamente alle vedute ad olio e alle incisioni nate dai suoi viaggi nelle colonie africane in Somalia, in Etiopia ed in Eritrea, passando ad uno stile asciutto e diretto, in cui i valori plastici delle figure e degli elementi architettonici e naturalistici si fondono in composizioni equilibrate e luminose.

Famosissime sono le acqueforti che l’artista di Assisi esegue per documentare la grandezza dell’Italia coloniale e la monumentalità delle zone sotto il nostro controllo. Da questa esperienza nasce un album di ottanta incisioni eseguite tra l’Africa, la Turchia e la Grecia.

Tra le sue immagini più famose, compaiono quelle dei Castelli di Gondar, fatti costruire durante l’antico regno di Fasiladas nel Seicento e fatti restaurare proprio ad opera del governo fascista. La grandiosità dei monumenti presenti nelle vedute e nelle scene di Laurenzio Laurenzi offrono poi una certa simbologia della continuità con le conquiste imperiali romane di Leptis Magna.

D’altra parte, nelle incisioni e nelle tele dell’artista si riscontrano anche piccoli e preziosi ritratti di donne e uomini africani, interpretati con grazia, espressività e con l’intento di dare vita ad un vero e proprio reportage.

Nel corso degli anni Trenta e Quaranta, le sue incisioni vengono più volte pubblicate dai quotidiani italiani e gli permettono di esporre non soltanto nel nostro paese, ma anche all’estero, tra Parigi, Londra e Praga.

Nel 1932, a Verona, è tra gli artisti che partecipano alla Fiera dell’Agricoltura e dei Cavalli, nella sezione “Mostra agricola coloniale”. Mentre Mario Ridola (1890-1972) presenta alcune vedute della Cirenaica, Laurenzio Laurenzi porta il suo contributo con alcuni paesaggi, architetture e figure dell’Eritrea e della Somalia.

Due anni dopo, espone alla Mostra Internazionale d’Arte Coloniale del Maschio Angioino di Napoli, in cui ottiene un notevole successo di critica. Con la fine del regime, l’attività dell’artista subisce un rallentamento, fino a quando, nel 1946, a sessantotto anni, non viene trovato morto nel suo studio romano.

Laurenzio Laurenzi: dal paesaggio umbro all’arte coloniale

La prima fase pittorica di Laurenzio Laurenzi è sicuramente meno conosciuta rispetto a quella che inizia dagli anni Venti e che è interamente dedicata alla documentazione per immagini delle colonie italiane in Africa.

Dopo il suo trasferimento a Roma, il pittore inizia ad esporre presso la Mostra degli Amatori e Cultori di Belle Arti di Roma. Interno di San Francesco ad Assisi compare all’Esposizione di In Arte Libertas nel 1902, mentre Chiostro a quella degli Amatori e Cultori del 1903.

Per tutti gli anni Dieci, prende parte alle principali rassegne romane, come la Secessione, in cui espone per tutte e quattro le edizioni una serie di vedute incentrate sulla sua terra natia o sulle impressioni di viaggio raccolte nei suoi soggiorni siciliani: Paesaggio – Assisi, Fiera di san Francesco d’Assisi, Mattino umbro, San Giovanni – Palermo e In vino vita.

Il naturalismo della composizione e l’attenzione alla resa della luce sono le principali caratteristiche della prima fase pittorica di Laurenzio Laurenzi. Prendendo in esame il dipinto con la Fiera di San Francesco si riscontra un forte interesse per la narrazione delle tradizioni folkloriche locali, elemento che ritornerà nella produzione coloniale.

Negli anni Venti, iniziano i suoi viaggi in Tunisia, Etiopia, Eritrea e in Somalia, dove incide ottanta lastre di rame con impressioni di vita locale, dai paesaggi alle figure. Le vigorose vedute sono supportate da un impianto disegnativo sapiente e da un cromatismo frizzante e allo stesso tempo raffinato, che si libera sicuramente da qualsiasi costrizione rigorosa, per meglio rendere il racconto delle colonie.

Le sue scene non hanno nulla più dell’immaginifico orientalismo dell’Ottocento, ma riflettono un andamento decisamente documentario, teso ad esaltare le glorie del regime fuori dai confini nazionali.

Le acqueforti

Ne abbiamo un perfetto esempio nelle acqueforti dedicate alle rovine delle architetture romane, ma anche dei Castelli costruiti nel Seicento e nel Settecento dai Negus, come i Castelli di Gondar, Gondar – Il Kusquam dopo l’incendio dei Dervisci o il Santuario di Axum e La stele di Axum. Tutti questi, oltre che ad essere luoghi fondamentali per la storia dei Regni nord-africani, sono stati anche dei simboli degli interventi coloniali del Ventennio.

Ad esempio, la stele fu spezzata in tre parti dai soldati italiani durante la campagna etiope del 1935. I suoi frammenti sono stati faticosamente trasportati dai soldati italiani ed eritrei fino al porto di Massaua, per giungere a Napoli nel 1937 ed essere ricomposti a Roma, per essere eretti di fronte al Ministero delle Colonie, l’attuale FAO, a celebrazione dei quindici anni dalla Marcia su Roma del 1922.

Non mancano poi le incisioni dedicate ai monumenti della Siria, come Baalbek, il Tempio di Venere, Balbeek, il Tempio di Bacco e Palmira, Arco di Trionfo. In Grecia esegue Atene – Arco di Ardiano e in nord Africa, tra Tunisia, Libia, Algeria ed Egitto, realizza Algeria – Arco di Caracalla, Dugga – Tempio di Caelestis, Leptis Magna, Sbeitla – Tunisia, ingresso al Foro, in cui gli edifici, perfetti nella loro resa architettonica, sono attraversati da ombre e luci di grande effetto.

Alla Mostra d’Arte coloniale del 1934 a Napoli, espone una Sposa araba che riassume tutta l’energia di un cromatismo luminoso e di una narrazione rispettosa e coinvolgente della vita africana.

Una luminosità accecante si concentra sulla sposa, così come sulle altre vedute e incisioni dai cieli infiniti e profondi, che Laurenzio Laurenzi realizza nel corso degli anni Trenta e che lo hanno reso famoso dopo la sua timida apertura di carriera con i paesaggi umbri.